UNA VITA IN VAN, ISTRUZIONI PER L'USO: COME VIVERE, VIAGGIARE E LAVORARE SU UN CAMPER

"Casa è ovunque siamo insieme. Vanlife. Istruzioni per l’uso" (Giunti) è il primo libro di una coppia molto seguita su Instagram, mente di un profilo che racconta le luci, le possibilità e anche le ombre della vanlife, ovvero della vita in camper. Si chiamano Rossella Del Console e Michele D’Alessio, pugliesi di nascita e cittadini del mondo: insieme, hanno deciso di abbracciare i ritmi e lo stile di vita dei nomadi digitali, in cui si lavora viaggiando ed esplorando il mondo. Il loro libro, che raccoglie consigli e dritte molto oneste su come mettere in piedi una vita come questa (anche da un punto economico e finanziario, aspetti da non sottovalutare) da un lato non edulcora le difficoltà dietro un'esperienza così immersiva, dall'altro non rinuncia all'estetica romantica della vita nomade, che è un trend molto in voga ad esempio su TikTok.

Con Rossella e Michele, alle prese con una nuova avventura a bordo di un ex veicolo militare (attualmente alle fase finali della conversione) che li porterà in giro per il mondo e con le osservazioni dei più scettici - «Quando sarete vecchi vi pentirete di questa scelta», «Tra qualche anno sarete fuori dal mondo del lavoro», «Imparate un mestiere piuttosto che cazzeggiare...» sono le più gettonate - abbiamo parlato di come si tiene in equilibrio un rapporto di coppia in pochi metri quadrati. E anche di quanto il decluttering, di cose e di legami, sia necessario per chi vuole abbracciare questo stile di vita, di quanto costa vivere in van (e soprattutto, che prezzo ha avviarla) e di come si mette in atto un piano sensato di nomadismo digitale.

Perché la vita on the road «non è un'eterna vacanza da hippies», come ci hanno spiegato. Dietro, se il progetto è ben ragionato, c'è un piano ben preciso. Che, a tendere, può portare alla felicità.

Partiamo dall’inizio: cosa vuol dire “casa” per voi?

«È una sensazione, più che un luogo fisico specifico. Siamo abituati a considerare “casa” un luogo fisico preciso dotato di indirizzo, in cui recarsi ogni giorno dopo il lavoro o la scuola, dove crescere e invecchiare. Per noi da due anni a questa parte non è più così, perché una “casa” che rispecchi questo preciso significato non ce l’abbiamo più. Abbiamo un camper, che in un certo senso sopperisce alla mancanza di un vero e proprio alloggio fatto di mattoni, ma più il tempo passa e più realizziamo che si tratta solo di uno strumento che ci permette di raggiungere mete nuove. Ci sentiamo a casa, dove abbiamo l’opportunità di evolvere i nostri spiriti, di crescere, di fonderci con gli abitanti locali e la loro cultura».

Quali sono gli stereotipi più duri a morire legati a questo stile di vita?

«Innanzitutto che sia un'eterna vacanza o che non abbiamo intenzione di crescere, di assumerci delle responsabilità. Chi come noi ha scelto di spostarsi di continuo da un posto a un altro non è necessariamente ricco, ha bisogno di lavorare! C’è chi ci vede come hippie libertini e naturalisti, chi come persone da cui tenersi alla larga, chi ancora come persone che nella vita vera hanno fallito, per cui preferiscono ricominciare da capo. Ma soprattutto regna sovrana l’idea che la vanlife sia solo una moda per postare belle foto su Instagram accoccolati sotto il piumone con panorami mozzafiato sullo sfondo, quando in realtà si tratta di uno stile di vita a tutti gli effetti, fatto anche di imprevisti da affrontare».

Avete avuto difficoltà a farlo capire alle vostre famiglie e ai vostri amici?

«Sì, soprattutto io (Rossella). I miei genitori hanno fatto molta fatica inizialmente ad accettare la mia decisione, soprattutto mia madre che piange ogni volta che nomino la parola “bambini” o “futura nonna”, un ruolo che eventualmente dovrà svolgere a distanza. Credo però che il segreto sia continuare a parlarne con la massima tranquillità, dimostrando loro che si può vivere benissimo anche scegliendo uno stile di vita nomade».

Il pregiudizio più forte è quello per cui, senza un indirizzo fisico, non si possa parlare di progettualità a lungo termine, sia individuale che di coppia. Cosa ne pensate?

«Per noi è valso il contrario. Da quando siamo partiti si sono aperte tantissime porte: parliamo di progetti creativi, alcuni anche connessi al mondo del lavoro, ma anche di preziose occasioni di crescita che ci hanno permesso di conoscerci più da vicino, come singoli individui ma anche come coppia, di metterci alla prova e di avere le idee più chiare sul nostro futuro».

Avete già fatto un’esperienza in van in giro per l’Italia e ora state lavorando alla vostra nuova casa mobile. Come l'avete trovata e cosa avete in programma?

«Abbiamo trovato il nostro ACM 80 dopo appena un mese di ricerche online a un prezzo vantaggioso: solo 5 mila euro per un ex veicolo militare con 40 mila km percorsi e soprattutto condizioni estetiche (quasi) perfette! Il nostro budget non è mai stato particolarmente florido, per questo motivo abbiamo dovuto svolgere noi il 'lavoro sporco', soprattutto all’inizio. Abbiamo rimesso a nuovo la carrozzeria, rimosso tutta la ruggine presente sul mezzo e verniciato, alla fine, la cabina di guida, sostituito gli pneumatici, smanettato assieme al meccanico, rifatto l’impianto elettrico da zero senza un briciolo di esperienza pregressa. Insomma, non ci siamo tirati indietro e questo ci ha permesso di risparmiare una bella somma di denaro, senza considerare anche il prezioso contributo delle aziende sponsor del progetto, che ci hanno fornito gratuitamente del materiale per la camper conversion in cambio di pubblicità».

E da un punto di vista psicologico, è stato facile?

«Non sempre tutto è rose e fiori. All’inizio c’è solo entusiasmo, ma con il passare del tempo subentrano le prime tensioni, i primi rallentamenti. Oggi siamo quasi in dirittura d’arrivo e non vediamo l’ora di tornare a viaggiare».

L’idea di vivere in una casa mobile per girare il mondo è molto romantica e attuale, ma immagino non priva di difficoltà. Quali sono state le vostre?

«Le difficoltà non sono mancate ma ci hanno aiutato ad evolvere, senza saremmo rimasti gli stessi ragazzi di due anni fa con la testa sempre fra le nuvole. Invece ci vuole anche concretezza, self-control e una buona dose di problem solving, in modo da affrontare prontamente e in maniera matura le difficoltà che puntuali arriveranno. Le difficoltà maggiori che abbiamo riscontrato riguardano due aspetti fondamentali: la gestione degli spazi vitali, parliamo di 6,7, al massimo 10 metri quadrati, che ci hanno messo più di una volta a dura prova, a maggior ragione per il fatto che conviviamo con un cane di taglia grande (un Golden Retriever di nome Mia, n.d.r.). E i cambi di programma improvvisi dovuti a guasti del camper o a impedimenti esterni. Una volta ha preso fuoco l’impianto elettrico costringendoci a rimanere in stand-by per quasi due mesi. Senza dimenticare il traffico! Io e Michele amiamo guidare, impossibile iniziare un viaggio di questo tipo in caso contrario, ma stesso tempo non tolleriamo il dover restare imbottigliati per ore sotto il sole cocente o nel bel mezzo di una tempesta di neve».

E i plus di una vita come questa, anche sul vostro rapporto di coppia?

«Questa vita permette di riappropriarsi del proprio tempo, di trasformare le passioni in un lavoro, di vivere esperienze altrimenti difficili da sperimentare stando a casa, di conoscere e fondersi con culture differenti. Ti trasforma. La vita nomade ci fa sentire vivi: ogni giornata è una scoperta, una conquista, un’incredibile opportunità. E anche il nostro rapporto di coppia ne risente positivamente. In viaggio siamo noi stessi, impariamo sempre tante cose, non ci stanchiamo mai. Neanche il dover condividere 24 ore a stretto contatto è un peso per noi, anzi, siamo grati di poter passare l’intera giornata insieme!».

Una vita in van presuppone anche una grande capacità di decluttering. Non solo di cose, ma anche di abitudini e legami quotidiane che nei periodi nomadi potrebbero venire meno. Voi come venite a patti con questa cosa?

«È uno degli argomenti che affrontiamo con grande attenzione nel libro. Il decluttering, che definirei in linea di massima la capacità di liberarsi dal superfluo, è diventato un grande alleato nella gestione della vanlife e del nostro viaggio. Eliminare ciò che non ci serve davvero o che non ci rappresenta più come un vestito, un accessorio, un soprammobile, ma anche una relazione difficile, ci libera dal peso delle aspettative altrui, ci mostra che viviamo davvero meglio con meno, a dispetto di ciò che la società vorrebbe farci credere. Decluttering e minimalismo ci rendono più consapevoli delle nostre scelte, più presenti a noi stessi, e ovviamente, ci permettono di risparmiare un’ingente somma di denaro da investire in progetti a lungo termine, in viaggi o in esperienze indimenticabili».

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